Il ruolo del RLS può, poi, esplicarsi anche in altra direzione strettamente connessa a quella indicata nella parte 1, ossia sul piano della garanzia dell’effettività dei divieti, su cui mi sono soffermato, che inibiscono il ricorso al lavoro flessibile in mancanza della valutazione dei rischi. E ciò, innanzitutto, nel senso di “vigilare” sull’effettuazione di tale adempimento, tenendo altresì conto che, fra le prerogative del RLS, rientra pure quella di “fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti” – evidentemente anche quelle decise in conseguenza di una valutazione che abbia, o meno, considerato specificamente i rischi collegati alla tipologia contrattuale – così come i mezzi per attuarle, “non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro” (art. 50, comma 1, lett. o; un “ricorso” da intendersi, tuttavia, in senso atecnico, tanto più in ragione del fatto che i destinatari di esso sembrano essere più i servizi ispettivi che l’autorità giudiziaria, e nel quale, pur in assenza di indicazioni legislative a proposito di forma e contenuti, è comunque opportuno che risultino chiaramente le misure di cui si contesta l’idoneità). Peraltro, poiché detti divieti debbono essere letti anche, e soprattutto, in positivo – in una prospettiva tesa, cioè, ad imporre al datore di lavoro l’obbligo di effettuare una valutazione adeguata e completa, che consideri specificamente i rischi collegati all’inserimento, nella sua organizzazione, dei lavoratori flessibili – pure sotto questo profilo risultano avvalorate le osservazioni, poc’anzi svolte, circa la centralità, in materia, della consultazione del RLS.
Più in generale, è da dire che, ferme restando le responsabilità datoriali in materia, la valutazione dei rischi, e il relativo documento, dovrebbero essere il frutto di un dialogo costante fra datore di lavoro e rappresentanza dei lavoratori e in ciò un ruolo importante può essere svolto dalla riunione periodica, quale momento particolarmente qualificato di confronto tra tutte le componenti del sistema aziendale di prevenzione, a cui il RLS, infatti, partecipa e di cui può chiedere la convocazione nelle unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori (ipotesi frequente nel settore dell’artigianato), con obbligo del datore di dare seguito a tale richiesta qualora ricorrano i presupposti di legge, ossia in presenza – art. 35, comma 4 – di “eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori”, tra cui ben può rientrare un incremento apprezzabile del ricorso al lavoro flessibile. Permane, comunque, la possibilità, per la contrattazione collettiva, d’individuare le modalità applicative ritenute più idonee per adempiere all’obbligo in questione e, più in generale, quella d’introdurre una regolamentazione dell’istituto migliorativa rispetto alla disciplina legale.
Dalla valutazione dei rischi derivano poi, a cascata, tutti gli altri adempimenti. In altri termini, è, per l’appunto, attraverso l’imposizione di tale obbligo – ora riferito espressamente anche ai rischi connessi alle tipologie contrattuali utilizzate – che si manifesta il tentativo più promettente del legislatore italiano di configurare quella «normativa complementare particolare» di cui parla la citata direttiva n. 91/383/Cee e alla quale accennavo all’inizio di questo intervento, dipendendo, in ultima analisi, proprio da detta valutazione un’informazione e formazione rispondenti ai requisiti richiesti dal legislatore comunitario, così come una sorveglianza medica appropriata, o, ancora, un’attività dei servizi di prevenzione e protezione funzionale alle esigenze dei lavoratori flessibili.
In questa prospettiva, molteplici sono le disposizioni che permettono al RLS di far valere le sue prerogative con specifico riferimento alla tutela di tali soggetti. Mi limito qui a ricordarne due: l’art. 50, comma 1, lett. h (“promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori”) e l’art. 50, comma 1, lett. d (“è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37”), a proposito di un adempimento di fondamentale importanza anche per la direttiva del 1991; adempimento che chiama altresì in causa il ruolo degli organismi paritetici, sia perché le proposte formative, da essi formulate ai sensi dell’art. 37, comma 12, pur non vincolanti per il datore di lavoro, dovrebbero considerare anche i profili qui indicati, sia per la fondamentale funzione che gli stessi possono svolgere nella formazione dei rappresentanti per la sicurezza, al fine di consentire loro di approcciarsi in modo consapevole alle problematiche considerate in questa sede.
La valorizzazione del ruolo del RLS, in quanto soggetto consultato, preventivamente e tempestivamente, dal datore di lavoro in ordine all’attività di valutazione dei rischi, e chiamato ad offrire il proprio contributo per una migliore protezione dei lavoratori, ivi compresi quelli flessibili, induce, infine, ad una riflessione sulla necessità di una piena inclusione di questi ultimi nel sistema partecipato prefigurato dal legislatore, che passi altresì dal superamento di previsioni contrattuali, come quelle del vecchio accordo interconfederale del 1995 concluso da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, le quali, nelle elezioni del RLS, limitavano l’elettorato passivo ai lavoratori non in prova con contratto a tempo indeterminato. Invero, le rilevanti innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 81/2008 relativamente al campo di applicazione soggettivo della disciplina prevenzionale non possono non riflettersi sulle scelte delle parti sociali in materia, inducendo a inserire anche detti lavoratori nel sistema di rappresentanza collettiva per la sicurezza, in sintonia con la filosofia inclusiva abbracciata dal d.lgs. n. 81/2008, la quale trova la massima espressione proprio nella definizione di lavoratore fornita dall’art. 2, comma 1, lett. a.
In tal senso, va salutata con favore la disposizione dell’Accordo del 13 settembre 2011 per l’Artigianato, secondo cui, nelle elezioni del RLS aziendale, “hanno diritto al voto tutti i lavoratori e possono essere eletti tutti i lavoratori non in prova, che prestano la propria attività nell’azienda o unità produttiva”, a prescindere dalla durata del loro rapporto. Del resto, la previsione in ordine alla computabilità dei lavoratori somministrati nell’organico dell’impresa utilizzatrice, relativamente alla materia dell’igiene e della sicurezza del lavoro (ribadita dall’art. 34, comma 3, d.lgs. n. 81/2015, da leggersi in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 81/2008), ha già indotto la dottrina ad affermare la piena partecipazione di questi ultimi, sotto il profilo dell’elettorato attivo e passivo, alle elezioni dei RLS presso l’utilizzatore.
Vero è che, con riguardo al settore dell’artigianato, la forma di rappresentanza collettiva privilegiata è, per i noti motivi, quella territoriale e quindi la riflessione sull’elettorato, attivo e passivo, che ho proposto potrebbe risultare di non diretto interesse. Tuttavia, credo che una piena tutela della salute e sicurezza dei lavoratori flessibili non possa prescindere dalla consapevolezza della necessità di una loro completa inclusione nel sistema di rappresentanza voluto dal legislatore, nel senso che ho qui cercato di tratteggiare. E, rispetto all’acquisizione di tale consapevolezza, penso che nessuno possa chiamarsi fuori.