RLS – un ruolo che qui mi sento di ribadire come di primo piano. È vero, infatti, che nessuna norma di disciplina delle fattispecie contrattuali per l’addietro considerate richiama specificamente tale figura. Eppure, già tra le righe di quanto sin qui detto può cogliersi la possibilità di ritagliare per essa compiti fondamentali in materia, che cercherò ora di meglio esplicitare.
Punto di partenza della riflessione non può che essere l’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 in tema di valutazione dei rischi; norma di cui va sottolineata la centralità nel vigente quadro legislativo, così come va evidenziata quella dell’adempimento di cui essa si occupa, in quanto principale strumento di prevenzione in azienda.
In questa prospettiva, mi pare occorra rimarcare, in particolare, l’espresso riferimento alla valutazione dei rischi collegati alla specifica tipologia contrattuale, alla quale si è già accennato. Com’è noto, l’art. 18, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 106/2009 ha, infatti, modificato l’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008, aggiungendo meritoriamente all’elenco dei rischi da valutare, per l’appunto, anche «quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro». Peraltro, pur se di indubbia opportunità, l’intervento correttivo ha sostanzialmente esplicitato quanto già poteva desumersi dal precedente testo normativo. Invero, ancor prima della novella del 2009, la portata omnicomprensiva dell’obbligo di valutare «tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori» – in ossequio a quanto affermato limpidamente dalla Corte di Giustizia – non poteva non estendersi a quelli derivanti dal tipo di contratto utilizzato, anche in virtù del carattere meramente esemplificativo dell’elencazione contenuta nel citato art. 28, comma 1, e dell’espressa menzione, nella norma suddetta, dei rischi «riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari».
Se questo è il quadro, sembra allora necessario valorizzare il ruolo del RLS innanzitutto sul piano della consultazione, in ragione del fatto che, secondo l’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 81/2008, le attività di valutazione dei rischi, e di elaborazione del relativo documento, sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Consultazione che l’art. 50, comma 1, lett. b, ha cura di qualificare come preventiva e tempestiva.
In questa fase, occorre, dunque, porre particolare attenzione alla specifica valutazione dei rischi connessi alla flessibilità tipologica. E – in considerazione del raccordo, instaurato dal legislatore (v. specialmente l’art. 47, comma 4, d.lgs. n. 81/2008), fra sistema della rappresentanza collettiva per la sicurezza e sistema della rappresentanza collettiva in generale – in ciò possono essere d’ausilio anche le norme che impongono al datore obblighi d’informazione circa l’utilizzo di tali tipologie contrattuali, utilizzo di cui il RLS potrebbe non essere a conoscenza: ricordo, ad esempio, l’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, secondo cui, “fatte salve le previsioni più favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente”; o l’art. 36, comma 3, giusta il quale “ogni dodici mesi l’utilizzatore, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, comunica alle rappresentanze sindacali aziendali ovvero alla rappresentanza sindacale unitaria o, in mancanza, agli organismi territoriali di categoria delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il numero dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati”. Non sono, invece, previsti dal d.lgs. n. 81/2015 obblighi informativi in tema di lavoro a termine, benché nulla impedisca alla contrattazione collettiva di definire comunque “modalità e contenuti delle informazioni da rendere alle rappresentanze dei lavoratori in merito al lavoro a tempo determinato”, secondo la formula utilizzata in precedenza nell’art. 9, comma 2, d.lgs. n. 368/2001, così come sarebbe auspicabile un intervento della stessa che, magari valorizzando il ruolo degli organismi paritetici, agevolasse l’accesso a tali informazioni anche da parte del RLST, in quanto soggetto “esterno” all’azienda. In ogni caso, è evidente la necessità che il rappresentante dei lavoratori, soprattutto se di livello territoriale come per lo più è nel settore dell’artigianato, promuova il coinvolgimento di tutti i lavoratori, in primis quelli flessibili, la cui esperienza costituisce per lui un’imprescindibile fonte d’informazioni, per la conoscenza diretta dell’ambiente in cui gli stessi operano.
Nella parte 2 parliamo di un’altra direzione strettamente connessa a quella testé indicata, ossia sulla garanzia dell’effettività dei divieti.
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